Abbiamo tratteggiato in questo articolo alcune delle novità che riguardano l’esercizio di attività d’impresa in Dubai.

Pare ora buona cosa analizzare nel dettaglio le free zones maggiormente evocative.

Dubai International Financial Centre DIFC – Centro Finanziario Internazionale di Dubai (Zona Franca Finanziaria)

L’iniziativa Dubai International Financial Centre DIFC, lanciata il 16 Febbraio 2002 da Sua Altezza Sheikh Mohammad Bin Rashid Al Maktoum, attualmente Ruler di Dubai, Primo Ministro e Vice Presidente degli E.A.U., aspira a trasformare Dubai in un centro per la finanza istituzionale universalmente riconosciuto e in una porta d’ingresso nella regione per il capitale e l’investimento.

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Le Zone franche (Free Zone) di Dubai sono state istituite per incoraggiare il commercio e gli investimenti esteri. Nel 1985, l’inaugurazione della Zona franca di Jebel Ali (JAFZ) è stata un modello per le normative e gli incentivi, e si è dimostrata un tale successo che il modello è stato replicato ripetutamente a Dubai e negli altri Emirati.

Tradizionalmente, tutte le compagnie dovevano essere almeno per il 51% di proprietà di un cittadino degli UEA; le attività registrate in una Zona franca, invece, possono essere al 100% di proprietà estera. Inoltre si offre l’esenzione da imposte e diritti doganali, e dazi nulli su esportazioni e importazioni. I vantaggi commerciali comprendono inoltre l’assenza di restrizioni sulla selezione di personale e sulle sponsorizzazioni. Per molte società, aprire una sede in una delle tante Zone franche è una prospettiva interessante, soprattutto perché Dubai è in una posizione strategica e offre un contesto di mercato libero, infrastrutture all’avanguardia, stabilità politica, economia in espansione e politiche di esenzione fiscale.

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La nostra attività di assistenza legale in diritto commerciale, societario, industriale si esplica nell’essere partner fidato di realtà imprenditoriali che operano in Italia e nel mondo. Tra le discussioni di “routine” che tengono il banco durante gli spostamenti internazionali emerge ciclicamente la concreta difficoltà d’investimento nel nostro Paese con correlata equiparazione dei competitors stranieri. Generalmente quesiti di tal fatta provengono da realtà societarie mature o da start-up operanti in settori tradizionali. Di recente, però, il quesito solletica lo vocazione imprenditoriale degli startupper “digitali”, i quali iniziano a vedere riconosciuto il rilevante potenziale economico del settore (messo in risalto dal Rapporto Restart Italia alla base, poi, del  Decreto Sviluppo Bis).

USA, Cile, Israele, Gran Bretagna, Austria, Estonia sono notoriamente riconosciute come in possesso delle migliori best practices e regolamentazioni per start-up.

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Da un brillante spunto dell’amico Daniele Mazzini è nata l’idea di raccogliere su Italian Startup Scene alcune domande in tema di problematiche giuridico legali ricorrenti nelle fasi dello Startup. I temi sollevati sono estremamente interessanti: si va dalla replicabilità dello strumento delle stock options nelle SRL, all’appetibilità delle SRLS per uno startupper; dalla esterovestizione, alla convenienza di adottare società estere per il residente fiscalmente in Italia; dalla fattispecie del socio non conferente, all’analisi dei conferimenti effettuaibili nelle SRL; dal wayout alla clausole anti-diluizione.

Queste le nostre risposte.

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Come noto l’investimento del Venture Capitalist è temporaneo ed è preordinato al conseguimento di capital gains conseguenti alla cessione della partecipazione. La durata media dell’investimento è di 5 anni. Tempistiche più brevi sono generalmente dovute ad un precoce successo della start up; a write off (fallimento, ecc.); a contrasto insanabile (tra le parti) che sfocia nel riacquisto da parte dei founders della quota detenuta dal venture capitalist.

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Al fine di comprendere le diverse tipologie di clausole anti diluzione è estremamente importante che si esamini la tipologia di diluizione da limitare. Sono essenzialmente riscontrabili:

a)    diluzione nominale nella partecipazione (una diminuzione della percentuale di partecipazione posseduta dall’investitore);

b)   diluzione economica (diminuzione del valore economico dell’investimento).

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Durante il panel “Innovation and visionary start-up founders: the importance of intellectual property”, tenutosi nei nostri studi in occasione del World Intellectual Property Day 2012, sono stati molti i quesiti posti in tema di Società a Responsabilità Limitata Semplificata. La SRLS (già da noi trattata in questo articolo) è una fattispecie molto recente, introdotta dall’art. 3 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” (meglio noto come decreto sulle liberalizzazioni) convertito con Legge 24 marzo 2012, n. 27. Alcuni degli elementi originariamente caratterizzanti la SRLS sono venuti meno con l’approvazione del “Decreto Sviluppo” (limitazione agli under 35 su tutti).

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Durante il panel “Innovation and visionary start-up founders: the importance of intellectual property”, tenutosi nei nostri studi in occasione del World Intellectual Property Day 2012, è stato sollevato, in modo inaspettato, un interrogativo che ruota intorno alla concreta difficoltà d’investimento nel nostro Paese. Ci è stato chiesto, in altri termini, il motivo per il quale chi potrebbe investire in Italia decide di non farlo. Pur non essendo questa la sede adatta (dovremmo, infatti, limitarci a trattare questioni prettamente giuridiche), vale la pena di soffermarsi sulle ragioni di questa limitatissima propensione all’investimento nel nostro Paese, rendendo accessibili le osservazioni emerse durante il panel anche ai non partecipanti allo stesso.

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Il 26 aprile 2012 sarà celebrata la XII Giornata Mondiale della Proprietà Intellettuale, organizzata dalla World Intellectual Property Organization (WIPO).

Senza Proprietà Intellettuale non avremmo innovazione.

L’innovazione è il contributo di isolati visionari e persone incomprese, è il sorpasso dell’ingegno sul genio. Dietro ogni grande innovazione, sia essa artistica, sia essa tecnica, si nasconde una storia fatta di curiosità personale, di intuizione, di determinazione. Una storia che ha cambiato in meglio la vita umana ed il modo di pensare delle persone.

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L’insostenibile burocrazia italiana sommata ad uno standardizzato utilizzo del nostro diritto societario (che, al contrario, in mani esperte si presterebbe ad una straordinaria flessibilità) spinge da alcuni anni molti start-up founders italiani ad investigare sulla possibilità di concretizzare intuizioni imprenditoriali concepite in Italia direttamente negli USA. Avere una buona idea, un eccellente business plan e prodigarsi nella ricerca di investitori è certamente necessario. Di estrema importanza, però, rimane la scelta della tipologia societaria.

Cogliamo, allora, l’occasione per delineare in modo chiaro e conciso (non è questa la sede per una esposizione analitica e dettagliata) l’articolazione del panorama societario USA, analizzando sommariamente le tipologie societarie maggiormente consone alle esigenze di una start-up: Limited Liability CompanyC-Corporation; S–Corporation. E’ da premettere che la disciplina societaria americana è smisurata ed è opportuno farsi guidare nella scelta da professionisti esperti in grado di amalgamare le esigenze di founders ed investors.

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