Permessa la dicitura made in Italy esclusivamente per prodotti finiti per i quali le fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale. Cassazione 19650/2012.

La Cassazione, con la sentenza 19650/2012, si allinea agli orientamenti più rigorosi nell’interpretazione della legge 55/2010. La legge Reguzzoni-Versace non si presta a dubbi (tralasciando le note problematiche di compatibilità con il diritto doganale europeo ed un difficile allineamento con alcuni dettami comunitari), quantomeno in relazione alla parte in cui stabilisce che la dicitura made in Italy è permessa esclusivamente per prodotti finiti per i quali le fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e in particolare se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità.

Si rammenta che:

a) nel settore tessile, per fasi di lavorazione si intendono: la filatura, la tessitura, la nobilitazione e la confezione compiute nel territorio italiano anche utilizzando fibre naturali, artificiali o sintetiche di importazione;
b) nel settore della pelletteria, per fasi di lavorazione si intendono: la concia, il taglio, la preparazione, l’assemblaggio e la rifinizione compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione;
c) nel settore calzaturiero, per fasi di lavorazione si intendono: la concia, la lavorazione della tomaia, l’assemblaggio e la rifinizione compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione;
d) nel settore dei divani, per fasi di lavorazione si intendono: la concia, la lavorazione del poliuretano, l’assemblaggio dei fusti, il taglio della pelle e del tessuto, il cucito della pelle e del tessuto, l’assemblaggio e la rifinizione compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione.

Massimiliano Caruso

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